Adozione
Il fatto che le famiglie con bambini o adolescenti adottati si rivolgano allo psicologo più spesso di quanto accada nelle famiglie naturali è un dato significativo, che però non può permettere di considerare l'adozione come un fattore di rischio.
Può essere invece molto utile soffermarsi sulla complessità delle dinamiche relazionali che si instaurano in tali situazioni, e sulla maggior attenzione che spesso si verifica nei genitori adottivi circa il benessere/malessere dei propri figli.
Innanzitutto è fondamentale considerare il fattore "storia": nel processo adottivo, sia il bambino adottato, sia la coppia che lo accoglie hanno un proprio passato, spesso indubbiamente costellato di sofferenza.
Il piccolo ha alle spalle una storia caratterizzata dall'abbandono, portandosi quindi appresso il rischio di una scarsa valorizzazione di sé, a causa del non essersi sentito desiderato dai genitori naturali. È fondamentale sottolineare come ogni storia sia a se stante, e non sia possibile (e nemmeno opportuno) fare generalizzazioni eccessive; però è vero che frequentamene le fantasie dei bambini adottivi prima o poi si muovono nella direzione di porsi la questione in questi termini:
"Perché i miei genitori mi hanno abbandonato?",
"Che cosa è successo?",
"Non mi volevano abbastanza bene?".
Anche se ovviamente con modalità molto diverse, questo succede sia al bambino che ha vissuto fino a una certa età in istituto – e che quindi ben se lo ricorda -, sia a quello che invece è stato adottato appena nato. Di qualunque tipo siano stati i rapporti del bambino con i genitori naturali, essi hanno comunque per lui un'importanza fondamentale, e rappresentano un punto di riferimento nella costruzione della propria immagine di sé e delle relazioni con il mondo esterno.
Ecco perché è importante che possano sentirsi liberi di parlarne con i nuovi adulti di riferimento: qualunque argomento di cui si possa parlare possiede già la caratteristica fondamentale del permettere l'instaurarsi di un pensiero, e quindi di poter essere elaborato dal punto di vista psicologico.
Nella maggior parte dei casi la coppia che adotta lo fa perché sterile; si tratta di un'esperienza intrinsecamente dolorosa, e ai due viene richiesto di poter elaborare la propria frustrazione: è un processo fondamentale perché l'adozione possa in seguito fondarsi su basi solide. Spesso nei partner rimane il dubbio che la genitorialità adottiva sia inferiore a quella naturale, e questo può portarli a immaginare che le cose che faranno per il bambino non saranno mai sufficienti a renderli come gli altri genitori. Ciò di cui contemporaneamente hanno bisogno – un bambino, con il quale realizzare il proprio desiderio di genitorialità – potrebbe in alcuni momenti renderli molto fragili.
Un'altra questione importante riguarda l'immagine che i genitori si costruiscono del bambino adottato: prima ancora di incontrarlo fantasticano su come sarà, sia fisicamente, sia caratterialmente. È un processo fisiologico della genitorialità (succede anche ai genitori naturali), ma per gli adottivi è più complesso, poiché non possono sapere se e cosa il piccolo abbia ereditato, o in che tipo di ambiente sia vissuto. Spesso queste caratteristiche assumono un ruolo maggiore più avanti con gli anni, quando può essere più facile rintracciare somiglianze e differenze (non solo fisicamente, ma anche in alcuni tratti del temperamento, oppure ad esempio nella predisposizione o meno agli studi).
Soprattutto nel caso l'adozione avvenga dopo qualche tempo dalla nascita (ma in realtà può succedere in ogni caso), il figlio adottato ha spesso bisogno di mettere alla prova i genitori adottivi: più o meno consapevolmente potrebbe temere di essere abbandonato di nuovo, e la sfida accesa verso i genitori può diventare un modo per esplorare i loro sentimenti nei suoi confronti: ecco il perché dei frequenti comportamenti aggressivi o delle minacce di abbandono. Nelle situazioni che diventano particolarmente difficili da affrontare a livello familiare, i comportamenti aggressivi possono anche raggiungere forti intensità, da una parte servendo al figlio per allontanare le emozione legate alle proprie dolorose esperienze di vita, dall'altra potendo però generare forti sensi di colpa e la paura di essere nuovamente abbandonato. L'ambivalenza fisiologica in ogni adolescenza – e che nei figli adottivi spesso si manifesta anche durante l'infanzia -, si manifesta proprio nell'alternanza tra momenti di intensa rabbia e richiesta sfrenata di "risarcimento" e altri caratterizzati invece da una viva ricerca di affetto.
Il fatto che frequentemente un adolescente adottato – poiché per processo naturale è portato a porsi domande su di sé, sulle proprie origini, e a fantasticare sulle proprie potenzialità – abbia curiosità riguardanti i genitori naturali, a volte viene interpretato dagli adottivi come un fallimento. In realtà non si tratta per il ragazzo di fare dei paragoni, di emettere dei giudizi, ma della possibilità di fare i conti con il proprio passato per poter investire sul futuro: è un processo assolutamente necessario per lui, che ha il diritto di sentirsi libero di portarlo avanti. Si tratta di fare i conti con la propria storia: operazione che ciascuno di noi presto o tardi compie.
Nei casi in cui il figlio adottivo appartenga a un gruppo etnico diverso da quello dei genitori, alcune delle variabili che abbiamo poc'anzi trattato possono complicarsi: sia per il figlio, sia per i genitori adottivi, il processo di integrazione psicologica può diventare più difficile, perché si tratta di venire a contatto con un'altra cultura, di coglierne gli aspetti positivi e di trasmetterli al minore, che possa conservarli tra i suoi punti di riferimento. Spesso è molto importante per questi bambini o ragazzi il fatto di entrare in contatto con altri che provengano dagli stessi Paesi: a questo scopo molte organizzazioni che si occupano di adozioni internazionali organizzano regolarmente eventi ludici.
Nell'incontro tra le due storie (del bambino e della coppia), in molti casi diventa difficile comunicare il perché di questa scelta, o affrontare in generale l'argomento, spesso perché gli adulti pensano che il passato del figlio sia molto più doloroso del loro, e quindi evitano di parlarne.
Il cosiddetto "romanzo familiare" è un insieme di fantasie riguardante le proprie origini: ogni individuo ha il proprio, che contiene in sé non solo l'elaborazione delle esperienze della propria infanzia, ma anche l'idea che si ha dei propri genitori come coppia, e ha a che fare quindi con la dimensione del desiderio, dell'attesa, della comunicazione vicendevole. Il romanzo familiare di ogni figlio, quindi, si colloca proprio là dove ci sono i romanzi di ciascun genitore, ed evidentemente nel caso dell'adozione questo processo si complica tantissimo, perché i soggetti in azione diventano molti di più, e le esperienze sono spesso molto complesse. È ancora più importante, quindi, che nelle famiglie adottive i figli sentano di poter parlare di ciò che c'è stato prima, di potersi esprimere, anche dove mancassero informazioni reali utilizzabili (in certi procedimenti adottivi, non si sa nulla della famiglia d'origine del minore): potrà comunque essere co-costruita una storia narrabile per tutti, che abbia il valore di verità almeno emotiva della situazione familiare attuale, comprendente sia i genitori biologici, sia quelli adottivi.
Un figlio adottivo, infatti, deve avere la possibilità – proprio come tutti i bambini prima e gli adolescenti poi – di riuscire a iniziare e a percorrere il proprio processo di autonomizzazione dai genitori, riuscendo a sviluppare una propria individualità. La spinta naturale in questa direzione è già presente, ma da sola non può manifestarsi: è necessario l'aiuto da parte dei genitori e degli adulti di riferimento in generale.
Queste sono soltanto alcune delle dinamiche che tipicamente si trovano ad affrontare i membri di una famiglia in cui ci siano figli adottati: si tratta di tematiche molto delicate, spesso impossibili da affrontare da soli. Per questo le associazioni e i servizi che si occupano di adozioni hanno iter complessi lunghi, che cominciano prima del congiungimento familiare, per finire spesso solo dopo parecchio tempo: avere dei punti di riferimento esterni alla famiglia e competenti in materia può essere fondamentale, sia nella prevenzione i eventuali difficoltà, sia nell'affrontare periodi di vera e propria crisi. Lo sforzo comune deve infatti essere quello di integrare il passato con il presente, perché solo in questo modo i figli adottati possono avere gli strumenti per affrontare e costruire il proprio futuro in maniera più possibile consapevole.